C’è chi giura che si siano visti senza il Sindaco, in apprensione per le voci incontrollate di un rimpasto che potrebbe colpire tutti o nessuno. Gli assessori tiburtini, corpo politico estraneo dalle logiche d’aula e alla volontà popolare, sembrano chiedersi il motivo di questa Rivoluzione francese in salsa tiburtina, che vede ipotesi di teste tagliate sempre più vicine alla concretizzazione. Uno spauracchio per alcuni, una iattura per altri, che a quel posto pare siano piuttosto affezionati. Eppure il primo cittadino non ha mai fatto trapelate desideri di cambiamento nella Giunta su cui lui stesso ha detto, più di una volta e in maniera perentoria, non ci sono spazi per manovre politiche legate alle liste della cordata di maggioranza. Il refrain dal giorno uno è sempre lo stesso: li decido io sulla base delle competenze, il resto non conta.
Fatto sta che la carica suonata dai Ribelli in aula, Domenico Cecchetti, Nello De Santis, Alessandra Fidanza e Angelo Marinelli, non fa stare tranquillo nessuno dei membri di questa Camera dei Lords tutta locale, che forse sta perdendo il contatto con la realtà. Intanto anche il gruppo di Partecipazione Popolare, uno dei primi ad uscire dalla coalizione proiettiana, non resta fuori dal coro delle critiche: “Nel Consiglio Comunale di venerdì abbiamo assistito all’esplicitazione di alcune preoccupazioni da parte di quattro consiglieri comunali di maggioranza, che chiedono un “cambio di passo” da parte di questa amministrazione comunale. Un cambio di passo che, dal nostro punto di vista, non può prescindere dal coinvolgimento attivo delle forze politiche che hanno portato l’attuale amministrazione a governare per il secondo mandato e che abbiamo evidenziato sin dal giorno dopo le elezioni – dicono in una nota Matteo Pallante e Alessandro Centani -. La critica è volta al metodo con cui il Sindaco e buona parte della maggioranza (non tutta) interpreta il significato di comunità e partecipazione che doveva essere alla base di questa coalizione civica. I problemi di bilancio ormai conclamati e certificati dalle ultime manovre finanziarie di assestamento, denotano il fallimento strutturale di una politica così fatta: autoreferenziale, supponente e, a quanto risulta, poco sostenibile. Di certo in periodi delicati come quello attuale, non possiamo come Comune, permetterci il lusso di non avere una idea politica e programmatica chiara della città”.
La conclusione è comunque una apertura: “Sarebbe opportuno finalmente cominciare ad accantonare piccole e miopi strategie politiche e cominciare a parlare, con pragmatismo, delle soluzioni per far progredire e rilanciare davvero la nostra città. Partecipazione popolare si rende disponibile, per l’ennesima volta, ad un confronto aperto e leale che segni finalmente una discontinuità rispetto alle metodologie fin ora utilizzate”. Insomma il civismo è davvero finito?