di Alessandro Galastri
Per sfondare nel mondo del calcio ci vuole tanto talento, ma non solo. A Daniele D’Arcangelo, attaccante classe ’92, il talento di certo non manca. Di lui si parlava benissimo qualche anno fa, come una delle più giovani promettenti punte del panorama tiburtino. Ora a 24 anni, “Fegatello” si ritrova alla Tivoli 1919, ma troppo spesso relegato in panchina o in infermeria, senza mai essere protagonista assoluto del palcoscenico. Tecnicamente molto bravo, Daniele è stato limitato finora dalla sua scarsa attitudine al sacrificio e alla corsa, anche a causa del suo fisico molto esile, e da una serie di problemi fisici che ne hanno condizionato il rendimento in questi ultimi anni. Eppure, di lui si ricordano gesta memorabili, come quando tre anni fa decise un derby tra Tivoli e Estense con un suo guizzo a tempo scaduto, consentendo agli amarantoblù di vincere e salvarsi. O come l’altr’anno, quando segnò un gol strepitoso in rovesciata in trasferta da far alzare tutti in piedi ad applaudire. Ma D’Arcangelo è così, prendere o lasciare.
Da anni si parla sempre bene dei tuoi mezzi tecnici, ma troppo spesso ti vediamo in panchina, e quando sei in campo alterni grandi partite a match opachi. Il motivo?
Sicuramente qualche responsabilità ce l’ho, però posso garantire che finalmente ho trovato l’unico allenatore, insieme a Romanzi con cui ho passato sei mesi fantastici, che mi ha saputo valorizzare, ovvero Luigi D’Aniello. In carriera poi sono stato sempre frenato da problemi fisici che hanno limitato la mia crescita e condizionato il mio rendimento in campo.
Cosa ti è mancato finora per fare quel salto di qualità definitivo da promessa a campione?
La costanza, la testa, la salute, il campo e la continuità.
Come si prospetta questa stagione a livello personale e collettivo di squadra?
Abbiamo una buona squadra, molto giovane, che può far bene e stupire tutti. A livello personale, penso di poter dare molto di più rispetto al contributo fornito l’anno passato.
Hai qualche particolare rimpianto nel corso della tua fin qui breve carriera?
Forse ho sbagliato a rimanere sempre radicato nel territorio tiburtino, invece di provare qualche esperienza al di fuori del mio paese, in modo tale da accrescere il mio bagaglio d’esperienza.
Obiettivo personale?
Vivere un campionato da protagonista senza infortuni.
Il tuo rapporto con tifoseria e spogliatoio?
Ottimo con entrambi. I tifosi sono spettacolari e i compagni di squadra sono tutti molto simpatici. Abbiamo un gruppo unito e compatto, che si è trovato bene fin dai primi giorni di preparazione. Nello spogliatoio si respira un clima positivo.
Il compagno di quadra, attuale o del passato, a cui ti senti maggiormente legato o affezionato?
Gianluca Fiore. Abbiamo un rapporto consolidato, mi è dispiaciuto che sia andato via. Per me era un punto di riferimento importante, mi dava tanti consigli per crescere e ci sentiamo tuttora. A livello umano è una grande persona, come giocatore non lo scopro certo io. Vorrei ricalcare le sue orme e diventare un giorno un ottimo calciatore come lui.
Infine, un aspetto in particolare che ti infastidisce del calcio locale.
Tanti giocatori a livello locale si spacciano per tali, mentre il più delle volte sono molto sopravvalutati. Io penso che con una testa diversa avrei giocato in queste categorie ‘’con la sigaretta in bocca’’.
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