Stacchini, una bomba certificata che ne ha innescata una politica destinata a far parlare di sé ancora per diverso tempo. Parliamo dell’ex polverificio a Tivoli e della sua sorte diventata oggetto di un querelle politica che segnerà in un senso o nell’altro la vita dei quartieri alle porte di Roma, da anni alle prese con una situazione da codice rosso. A certificare, semmai ce ne fosse stato il bisogno, la precarietà delle condizioni dei 60 ettari di terreno a due passi da Tivoli Terme, sono anche le conferenze dei servizi, le ultime convocate il 15 maggio e il 30 luglio 2019, che hanno visto riunirsi intorno allo stesso tavolo una buona parte dei protagonisti di questa vicenda. Una buona parte perché alcuni, su tutti Arpa e Mibact, non hanno presenziato al confronto nonostante l’invito sia stato fatto. Conferenze che al contrario hanno visto la presenza della Regione Lazio, in particolare della Direzione Politiche Ambientali e Ciclo dei Rifiuti e della Direzione Regionale Capitale Naturale, Parchi e Aree Protette, nelle persone rispettivamente di Antonietta Piscioneri e Stefano Sarrocco insieme alla ASL Roma 5, Dipartimento di Prevenzione, Area Igiene e Sanità Pubblica rappresentato da Fabio Arena.
Istituzioni che nel corso dell’incontro a quanto pare concordano con un punto: la situazione ambientale attuale ha modificato l’Habitat originario del SIC (Sito di interesse comunitario che insiste proprio nell’area) e quindi la potenzialità dell’area, due aspetti che insieme “potrebbero permettere di superare il risultato presumibilmente negativo della valutazione d’incidenza, attraverso le procedure previste dalla normativa comunitaria e nazionale”. Parole queste dette da Maria Ioannili, ex assessore all’Ambiente del Proietti I e oggi consigliera delegata del sindaco, su cui in realtà concorda proprio la rappresentante della Regione Lazio, pur sottolineando la necessità di lavorare insieme al Ministero dell’Ambiente. Altro capitolo, ma parallelo è quello strettamente sanitario di cui parla la Asl stessa, ponendo “l’attenzione sul rischio sanitario, aggravato da quello di eventi terzi (meteo, incendi), auspicando la risoluzione del problema”. Insomma intervenire è necessario e anche trovare in qualche modo una soluzione vista anche la difficile sostenibilità economica della bonifica da parte delle casse pubbliche che si aggirerebbe sui 5 milioni di euro, centesimo più centesimo meno. La questione ora quindi diventa decisamente più complessa: la Regione, che ha annunciato mercoledì un parere negativo dopo un turbolento passaggio nelle commissioni congiunte Ambiente e Urbanistica, in realtà ben più di uno spiraglio lo aveva dato al Comune che oggi pone in votazione il documento con cui si chiede di portare proprio negli uffici regionali la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) sul progetto con cui la società, che oggi ha la chiavi del terreno, intende trasformarlo in un polo logistico. Il problema resta infatti quello della sostenibilità dell’aumento di cubatura, che passerebbe da 900mila metri cubi ai 2.100.000.