L’estate calda della politica con il calendario che segna i giorni (pochi) che dividono l’Italia dal voto. Nel Pd si cerca di ricostruire una alternativa al centrodestra nel dopo Draghi con le ferite che la fine anticipata della legislatura ha portato sul fronte delle alleanze. Una partita che per Rocco Maugliani, segretario dei democratici della provincia di Roma, si delinea contro un centrodestra, a cominciare dalla Meloni, aintieuropeista e che toglie credibilità al Paese. Una sfida che il Pd può vincere mettendo al centro della sua azione equità e giustizia sociale.
La caduta del governo Draghi, le conseguenze per il Paese e una sua valutazione su quello che il governo è riuscito a fare. Partiamo da qui.
Guardi, Mario Draghi era fra i leader politici del continente, quello con la maggiore autorevolezza, anche in considerazione del ritiro di Angela Merkel. Con Draghi l’Italia aveva fatto un salto di qualità nell’immagine internazionale. Draghi è quello che ha salvato l’Europa. Salvata diverse volte da presidente della Banca centrale europea, ha salvato l’euro, è quello che ha tenuto i tassi di interesse bassi in modo tale da salvaguardare le economie degli Stati europei più in difficoltà. È quello che ha utilizzato il bazooka come strumento economico finanziario che ha dato solidità e liquidità all’economia del continente. La sua venuta a Palazzo Chigi su indicazione del Capo dello Stato è un fatto enorme e straordinario. Ci avrebbe permesso e ci stava permettendo di utilizzare quella enorme, ingente quantità di risorse che l’Europa aveva stanziato per l’Italia nel modo migliore e più adeguato al nostro Paese, a cominciare dal Pnrr. È evidente che oltre a questo, c’è da considerare il ruolo di fermezza internazionale che l’Italia aveva svolto nella crisi della guerra in Ucraina. Un ruolo straordinario che è una delle cause poi, magari, per le quali il governo è caduto. E ed è uno degli elementi che rendono questa crisi ancora più grottesca. È chiaro che l’Italia, con la caduta del governo Draghi, ha dato ancora una volta l’immagine di un Paese inaffidabile ai partner europei e questo causa un danno d’immagine straordinario. Ma in prospettiva rischia di poter essere un danno anche per quelle tracce di risorse che ancora non abbiamo preso dal Pnrr, che devono essere investite e che rischiano di essere messe in discussione anche in un contesto internazionale in cui il nostro Paese perde di credibilità e di affidabilità. E io penso che, a maggior ragione nei confronti di un Presidente della Repubblica che si era speso per costruire un governo di questo tipo e che ha un’autorevolezza nazionale e internazionale indiscutibile, che questa mossa di mandare a casa il governo per ragioni di convenienza particolare è certamente uno di quegli elementi che peseranno per il nostro Paese e peseranno anche in campagna elettorale.
Le ripercussioni sul piano politico sono state molto forti per il Pd in tema di alleanze. Senza cinque stelle quale prospettiva c’è per il partito democratico?
Noi abbiamo lavorato in questi anni per costruire delle alleanze stabili e forti con il Movimento Cinque Stelle, e negli intendimenti del nostro segretario c’era la volontà di costruire un campo più largo che tenesse dentro anche quelle forze che guardano al centro. È evidente che quello che è successo in queste ore, in questi giorni, con la caduta del governo Draghi, segna un punto di non ritorno nel rapporto col Movimento, quanto meno rispetto a questa tornata elettorale per le elezioni politiche. Questo è fuori discussione e non potrebbe essere altrimenti. Noi siamo un partito serio, non siamo come il centrodestra che mette insieme una coalizione nella quale ci sono forze politiche che non sono mai riuscite a fare la stessa cosa con il susseguirsi di tre governi diversi nella legislatura. Io penso che la linea tracciata dal segretario nazionale sia una linea corretta, quella di mettere in campo un sistema di alleanze tecniche con tutte quelle forze politiche che hanno da ultimo partecipato al governo Draghi e che sono state coerenti con la necessità di ribadire la fiducia al governo. Abbiamo fatto bene, lo stiamo facendo in queste ore, ci auguriamo e speriamo ci sia una consapevolezza comune che in questo momento l’obiettivo di costruire una coalizione che possa rappresentare un’alternativa vera a una destra la cui ascesa avrebbe delle conseguenze tragiche per il Paese, sia da considerarsi una priorità.
Nel Lazio si andrà a elezioni anticipate di qualche mese per l’impegno del Presidente Zingaretti alle politiche. Qui governate con i cinque stelle, e il terremoto nazionale non sembra avere prodotto effetti, vi ripresenterete insieme. Perché?
Ma perché l’esperienza di governo che si sta concludendo è un’esperienza che è stata assolutamente positiva in Regione Lazio e quindi non c’è ragione di interromperla e non c’è ragione per non ripresentarsi agli elettori sapendo che si ha e si avrà eventualmente anche per il futuro, la credibilità per poter governare insieme. Non solo non ci sono mai stati problemi interni nella relazione con i partiti della coalizione, ma c’è sempre stata qualità nel governo del Lazio. Ci sono tutte le condizioni per andare avanti insieme in questa esperienza.
Letta ha lavorato alla lista Italia democratica e progressista con Articolo 1 e Partito socialista, e c’è Demos. Il tema delle alleanze è in queste ore protagonista. Calenda e Renzi cosa rappresentano?
Ma intanto bisogna dire questo che la lista democratici e progressisti con la quale ci presenteremo alle prossime elezioni politiche, e che tiene dentro Partito Socialista, Articolo Uno e Demos, sarà una lista aperta anche a quei pezzi di società civile e di movimenti che in questi anni hanno avuto un’interlocuzione costante con il Partito Democratico. Questa lista rappresenta uno sguardo verso il futuro per la costruzione di un soggetto politico nuovo, più forte, più inclusivo, veramente rappresentativo di quel blocco sociale che ci candidiamo a rappresentare per intero e che spesso non riusciamo a fare. È chiaro che questo soggetto si candida a rappresentare la lista più votata alle prossime elezioni politiche. Però noi abbiamo una legge elettorale che è in parte maggioritaria e che quindi ci mette nella necessità di costruire delle coalizioni, anche coalizioni eterogenee. È un problema che ha il centrodestra in maniera plastica ed evidente di mettere insieme soggetti politici diversi, molto diversi fra di loro. È un problema che abbiamo noi e che quindi ci mette nelle condizioni di aprire un dialogo con le forze politiche che possono essere compatibili nella costruzione di un progetto di governo. Calenda e Azione rappresentano certamente soggetti ai quali guardiamo. Non ne abbiamo fatto mistero. E io troverei innaturale in questa fase che noi non riuscissimo a costruire una coalizione insieme anche per le sfide che attendono il Paese nei prossimi anni. Quanto a Renzi, per certi versi vale lo stesso discorso al netto del fatto che la sua consistenza elettorale è inferiore oggi probabilmente alla consistenza elettorale di Azione di Calenda. Io credo che noi in questo momento commetteremmo un errore se guardassimo alla fiducia, al futuro, portandoci appresso le scorie del passato anche nei rapporti politici e personali che sono intercorsi all’interno del Partito Democratico. Quindi, da questo punto di vista non sarebbe corretto porre dei veti, a parer mio, sulla presenza di Renzi dentro la coalizione con la quale ci presenteremo alle elezioni politiche nella quota maggioritaria. Ma da questo punto di vista, l’appello che ha rivolto il segretario nazionale Enrico Letta va in tal senso sulla rimozione di veti che rischiano di essere, anche rispetto alle sfide del Paese, totalmente decontestualizzati e portatori di una concezione infantile della politica che appunto dobbiamo superare.
Letta ha detto che il programma avrà due punti focali su ambiente e diritti, sono gli argomenti su cui mobilitare l’elettorato in questa torrida estate?
Io partirei certamente da questi due temi e metterei dentro però un terzo tema che probabilmente li riassume tutti, che è la giustizia sociale. Noi abbiamo la necessità di recuperare il rapporto con i cittadini e avvicinare i cittadini alle istituzioni, dando una percezione concreta a una popolazione colpita in maniera drammatica dalle conseguenze economiche della pandemia di rimettere al centro il tema della giustizia e dell’equità. E questo è certamente un tema fondamentale. Poi è chiaro che la tematica ambientale è una tematica che oggi assume una cogenza particolare anche in relazione, per la prima volta, ai finanziamenti che sono arrivati dall’Europa. Questa è la prima volta nella storia che il tema della transizione ecologica è strettamente collegato al tema delle risorse che poi vengono erogate. E io lo considero un salto di qualità importante in una società come la nostra. Per quanto riguarda il tema dei diritti, qui si pone un tema più generale che riguarda i valori di cui siamo portatori. Noi troppo spesso abbiamo derogato ai nostri valori, scegliendo di non fare battaglie che potevano apparire impopolari. Ebbene, questo è un errore drammatico che un partito non può mai compiere perché si può perdere una battaglia elettorale. Ma la cosa peggiore è perdere una battaglia culturale ad esempio sui diritti civili o sui diritti di cittadinanza. Per quella parte di popolazione che non è cittadina italiana, ma che dovrebbe esserlo, noi in questi anni abbiamo talvolta scelto in maniera colpevole di non fare delle battaglie che invece avremmo dovuto fare, rincorrendo eventualmente la Meloni o Salvini su un terreno che non poteva essere nostro e che non potrà essere il nostro in futuro. E io considero questo una macchia anche nel nostro passato, una macchia che in questo momento vogliamo assolutamente superare e dobbiamo farlo rimettendo al centro anche una serie di battaglie sul riconoscimento dei diritti che oggi sono negati a tanti cittadini che parlano italiano, che hanno sempre vissuto qui, che non hanno mai conosciuto una pagina diversa da questa, ma che non risultano essere italiani perché qualcuno ci ha spiegato che riconoscere loro quei diritti sarebbe valso a fomentare dei pericolosi terroristi arrivati nel nostro Paese con il barcone. Ecco, questa è una lettura infame e vigliacca della società che noi dobbiamo assolutamente rifuggire.
In caso di vittoria del centrodestra Giorgia Meloni sarà premier. Si è aperto un dibattitto acceso intorno al suo profilo, anche nella stampa internazionale, il problema è che Meloni è una ex fascista?
Si tratta sicuramente di un tema delicato e da affrontare senza superficialità, anche avendo la consapevolezza di cosa significa oggi contestualizzare alcuni atteggiamenti, alcune frasi, alcuni concetti che possono essere dietro un sostrato culturale che sostiene Giorgia Meloni. È chiaro che quando tu vedi dentro le sezioni di Fratelli d’Italia delle bandiere inneggianti alla Decima Mas, ti fai delle domande e ti dai delle risposte che per una destra di governo potrebbero essere anche non particolarmente edificanti su quel sottobosco che ancora non è riuscito a liberarsi di alcuni stereotipi. È chiaro che oggi noi dobbiamo valutare non tanto la pericolosità della proposta politica che mette in campo la Meloni per quel sottobosco culturale, che pure è pericoloso e non va sottovalutato, quanto per quella che è la visione che la Meloni propina della società del futuro. Io penso che Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega hanno insieme la potenzialità per essere una coalizione assolutamente pericolosa per il Paese. La Meloni, per quello che è il suo antieuropeismo di fondo che emerge anche in tutte le parole, non solo le interviste che rilascia, ma le posizioni che sostiene a livello europeo. E quanto a Salvini e a Berlusconi, la vicenda della caduta del governo Draghi è a suo modo inquietante, soprattutto in relazione alle implicazioni in politica estera con questa complicità strisciante con certi ambienti vicini alla Russia, in una fase di scontro così importante, dove non ci possono essere ambiguità da che parte stare, anche rispetto all’alleanza atlantica. Io penso che siano questi i profili più pericolosi della destra che si candida a governare.
E a livello di scacchiere geopolitico in una fase così pesante di crisi con una guerra in Europa?
Guardi, è quello che dicevo prima. Quando Romeo e Gasparri, nella giornata in cui ritirano la fiducia al governo Draghi, intervengono attaccando pesantemente il Presidente del Consiglio sulla sua linea in politica estera, che era una linea assolutamente atlantista. Quando Berlusconi rilascia un’intervista e sostiene di essersi fatto spiegare come stanno veramente le cose dall’ambasciatore russo. Quando emergono dettagli inquietanti e ancora tutti da chiarire sui rapporti fra il governo russo e la Lega in relazione a possibili richieste di ritiro dei ministri dei giorni scorsi. È evidente che sono tutti elementi che nello scacchiere internazionale geopolitico pesano e renderebbero eventualmente l’Italia più debole e nell’alleanza del Patto Atlantico nel caso in cui dovesse vincere le elezioni il centrodestra, indipendentemente da tutte le rassicurazioni che può provare a dare la Meloni rispetto al tema della Russia. Meloni, che invece è debolissima peraltro nel tema del rapporto con l’Unione Europea. E quindi è evidente che noi dobbiamo cercare di evitare quello che sarebbe uno scenario assolutamente nefasto per il nostro Paese, che porterebbe da una parte l’Italia a isolarsi dall’Europa e dall’altra l’Europa ad essere più debole nei confronti della Russia, della Cina e dell’India.
C’è da dire che Meloni sarebbe la prima leader di partito donna, altre non ce ne sono, a diventare premier. In tema di leadership femminile nel Pd il segretario Letta ha dovuto imporre due donne come capogruppo in parlamento. La politica in Italia al di là delle quote rosa è ancora una questione per uomini?
È vero, noi non abbiamo una leader donna, ma abbiamo tantissime donne che oggi svolgono funzioni di primo piano sia nella politica nazionale sia nell’amministrazione nel governo locale. Chiaramente su questo tema la politica può e deve fare di più. C’è più in generale un tema di arretratezza, un tema della condizione femminile nel nostro Paese. Mi rendo conto che se parlo così rischio di apparire ottocentesco anche nella terminologia. Però questo non riguarda solo la politica. Il tema esiste, l’abbiamo toccato con mano in maniera drammatica in questi anni di pandemia. Se pensiamo che il 90% dei posti di lavoro che si sono persi sono di donne, c’è il tema di come le donne rappresentino ancora troppo spesso un anello debole nella società e come non ci sia ancora una rete di protezione in grado di fare emergere le donne nella stessa modalità in cui emergono gli uomini. È un tema che dobbiamo assolutamente porci e che riguarda la politica, ma non riguarda soltanto la politica. Purtroppo riguarda la società. Su questo siamo ancora molto indietro e lo dobbiamo riconoscere.