“Non riteniamo efficaci e percorribili le modalità con cui è stato gestito il rientro in presenza delle scuole superiori previsto ora per l’11 gennaio”. Così recita un documento comune dei docenti del liceo classico “Augusto” di Roma, che critica le condizioni in cui l’11 gennaio dovrebbero riaprire le scuole a Roma e in alcune Regioni mentre altre hanno rinviato il suono della prima campanella in altre date, fino al 1 febbraio.
I docenti del liceo “Augusto” di Roma – si legge in apertura del comunicato – sottoscrivono la lettera dei colleghi del liceo ‘Tasso’, pubblicata il 28 dicembre 2020 sul quotidiano Il Manifesto e ripresa, in data 30 dicembre 2020, dal quotidiano La Repubblica”, e aderiscono “ai documenti redatti dai colleghi del liceo ‘Dante Alighieri’, del liceo ‘Visconti’ e di altre scuole di Roma”.
I docenti, lamentandosi del mancato coinvolgimento della propria categoria nell’intesa raggiunta da Prefettura e Ufficio Scolastico Regionale del Lazio lo scorso dicembre, ribadiscono “con forza e chiarezza che, senza autentiche e concrete azioni volte a garantire la sicurezza e la salute di tutte le componenti della scuola, non sussiste alcuna possibilità di rientro in presenza, non essendo, da novembre a oggi, cambiata la situazione epidemiologica e non essendo stata prevista l’inizio della vaccinazione del personale del comparto scuola prima del mese di aprile”.
Benché attualmente gli screening con i tamponi non siano obbligatori, i docenti del liceo di via Gela propongono questa misura, da ripetersi a cadenza costante, dell’intera popolazione scolastica, docenti, studenti e personale Ata, “con la modalità del tampone antigenico e/o molecolare”, senza il risultato del quale non possa essere prevista l’ammissione a scuola in presenza.
“La scuola non può essere considerata una realtà fisica slegata dal territorio in cui opera – si legge ancora nella nota, dove si fa riferimento all’impossibilità di potenziamento della rete dei trasporti “sia per limiti finanziari ma, anche e soprattutto, fisici”, come riporta un documento dell’Ufficio scolastico regionale.
La comunità dei docenti non ritiene risolutivo “lo scaglionamento imposto con due fasce orarie di entrata (8-10) e di uscita (il 60% degli studenti uscirebbe alle 15,30)” in quanto non tiene nella giusta considerazione “il funzionamento complesso di un istituto scolastico e il suo fine ultimo, la formazione del cittadino”.
Il testo fa anche riferimento ai problemi strutturali interni: “Ricordiamo che gli edifici scolastici non sono dotati di spazi in cui il personale docente, costretto dalla formulazione oraria prevista a pause prolungate, può lavorare o anche semplicemente stazionare in sicurezza, sia per carenze strutturali e organizzative di lunga data, sia per aver dovuto sacrificare ogni spazio a disposizione per garantire un accettabile livello di sicurezza nelle poche settimane in cui, a inizio anno scolastico, abbiamo lavorato in presenza – scrivono i professori.
La scansione oraria fino alle 15,30 pone anche il problema del pranzo a scuola. “Non essendo le nostre scuole superiori provviste di mense o di locali che possono essere adibiti a tale uso, l’unica soluzione possibile diventa quella di consumare uno dei pasti considerati fondamentali nella giornata in un tempo di 10-15 minuti e all’interno delle aule – si legge nel documento. “A tale scopo sarà necessario che docenti e studenti si tolgano la mascherina, contravvenendo quindi necessariamente, in uno spazio chiuso e per un tempo prolungato (ricordiamo che 15 minuti sono il tempo stimato sufficiente alla diffusione del virus in assenza di dispositivi di protezione individuale) alla più elementare delle norme di prevenzione del contagio”.
Conseguente a ciò, la richiesta che venga lasciata a ogni singolo istituto, nel rispetto dell’autonomia scolastica, la possibilità di valutare tempi, modi e percentuali del rientro in presenza in Didattica Digitale Integrata“.