Teodoro Russo, imprenditore del settore turistico e alberghiero, tiburtino da diversi anni operativo al Lido di Venezia dove ha buona parte della sua attività lavorativa. Venerdì 10 dicembre ha partecipato all’incontro “Il turismo nella Tivoli di domani”, in occasione dei 37 anni di attività del giornale “Il Cittadino”. Nel suo intervento ha portato con sé alcuni dati di Città Metropolitana non recentissimi ma comunque utili a fotografare una situazione critica. Ne vogliamo parlare?
I dati ISTAT che abbiamo a disposizione risalgono al 2017 e sono stati elaborati dalla Città Metropolitana di Roma. Si tratta di numeri allarmanti, per allora, inquietanti se si sviluppassero oggi in considerazione del fenomeno Covid. In quei dati si legge che Tivoli, per incidenza degli esercizi ricettivi, è al secondo posto con il 5% dopo Fiumicino al 14% tra le località dell’hinterland metropolitano di Roma. Bracciano è al terzo posto con 4%. Salta agli occhi il divario tra il 14% di Fiumicino e il 5% di Tivoli. Altro dato non certo entusiasmante è che Tivoli è solo all’ottavo posto per gli arrivi agli esercizi recettivi tra le località dell’hinterland metropolitano di Roma, dopo, nell’ordine, di Fiumicino, Pomezia, Fiano Romano, Civitavecchia, Ciampino, Frascati, Mentana. Ad onor del vero non mi sembra che per bellezza del territorio, siti Unesco e monumenti le predette località siano superiori alla città di Tivoli. Tivoli, ed è questo il dato peggiore, è al di sotto della decima posizione per presenze negli esercizi ricettivi. Dei 700.0000 visitatori circa l’anno che arrivano nelle ville tiburtine solo 30.000 risultano soggiornare negli esercizi ricettivi della città. Viene spontaneo analizzare i motivi di tale fenomeno che a mio parere possono essere sintetizzati in:
– Manca un’idea precisa dell’identità di Tivoli da comunicare a chi sta dall’altra parte del mondo, un messaggio forte.
– La comunicazione non è allineata con l’importanza della destinazione.
– Manca l’aspetto dell’esperienza/atmosfera.
Altro elemento che lascia a dir poco perplessi è il Portale Ufficiale del Turismo on line, le cui news non vengono aggiornate dal 2015.
Secondo lei quale è il problema principale relativo allo sviluppo del settore turistico in una città che ha due siti patrimonio Unesco e un terzo gestito – bene – dal FAI? Si parla di biglietto unico da anni…
Mi preme partire da una constatazione: non c’è più tempo da perdere. Nulla sarà come prima e nessun’altra attività economica come quelle legate al turismo sono state così fortemente colpite dalla pandemia. L’ospitalità alberghiera in genere, in tutte le sue varianti, così come il mondo della ristorazione e del commercio, sono state falcidiate e molte hanno pagato a caro prezzo il non essersi adeguate negli anni alle nuove richieste del mercato. Sarà indispensabile, da subito, un connubio di competenze e cooperazione, dimenticando i vecchi modelli di sviluppo del passato e disegnandone di nuovi. Ma come affrontare questo periodo di transizione impostoci dalla presenza, chissà ancora per quanto, del Covid 19? Le maggiori presenze turistiche di ieri, prima della pandemia, venivano dall’estero. Ora nel corso del 2022 e del 2023 assisteremo a quello che è stato definito “turismo di prossimità”. La vera normalità probabilmente ce l’avremo tra 3 o 4 anni. Ci stavamo attrezzando per turisti russi, cinesi e comunque per chi viene da oltre oceano, ora i visitatori arrivano in auto, da altre regioni o dall’Europa. Sono spagnoli, austriaci e tedeschi. In questa situazione di cambiamento, bisogna saper prevedere velocemente il futuro e per farlo servono competenze. Già in precedenza il turista andava in cerca di “esperienza”, soprattutto gli europei, sono meno frettolosi e cercano alberghi e luoghi con un’anima in più. In questo scenario chi ha piccoli alberghi, a due o tre stelle, che faticano a rinnovarsi e innovarsi, rischia di rimanere maggiormente in difficoltà. Ed è proprio il caso di dirlo, forse è quello che succede nella nostra città. Villa D’Este, Villa Adriana, Villa Gregoriana, il centro storico con le chiese di S. M. Maggiore, San Pietro alla Carità, la chiesa di San Silvestro, le Terme di Tivoli, non basteranno più, forse, a far arrivare nemmeno quei turisti che io definisco “di transito” e che poco lasciano in città. Abbiamo ossia bisogno di un turismo di qualità, di un turismo esperienziale che visiti la città ed il territorio circostante vivendo e trovando qualità, attenzione, cura, decoro.
La politica cosa può fare concretamente per supportare anche l’indotto, che vista la situazione stenta a decollare? Pensiamo anche alle Terme, gravate da contenziosi legali, che potrebbero fare da locomotiva almeno per una parte dell’industria legata al turismo.
La domanda che dobbiamo porci è: cosa serve alla città? Cosa si può fare? La prima risposta è che abbiamo bisogno di temporary manager, di competenze specifiche sulla quale investire fortemente per individuare in tempi brevi ciò di cui ha bisogno la città, di cosa deve avere e in cosa deve cambiare. I tre punti su cui agire sono: servizi, sviluppo locale, desiderio. Determinante a questo punto diventa la trasversalità delle competenze. Il turismo coinvolge i territori tout court ed in maniera sempre più significativa. Si devono però sviluppare ed interconnettere altri settori, la mobilità per esempio, i trasporti. Sarà fondamentale il digitale in tutte le sue possibilità, tanto come strumento quanto per conoscere e agire in tempo reale. Forse si dovrà studiare e capire meglio lo strumento della prenotazione obbligatoria non come ostacolo all’organizzazione di un viaggio, ma come un plus, che può prevedere l’ingresso in quella o questa villa, a questo o a quel ristorante, a quella chiesa o, perché no, a questo o quel laboratorio artigianale o un percorso guidato per la città o meglio per il territorio. La prenotazione, se considerata come strumento per dare e per ricevere il meglio, è la migliore assistenza al nostro viaggio, se diffusa e sviluppata può consentire di scambiare una comunicazione più incisiva e personalizzata, così come permettere una organizzazione degli spazi e del tempo a disposizione nel miglior modo possibile. Potrebbe essere un grande segnale di cortesia e di attenzione, da fare non in maniera asfittica nei confronti del cliente, che potrebbe così trovare una città maggiormente organizzata e quindi disposta ad accoglierlo. Tutto questo non può essere un processo spontaneo, ci vogliono visione ed esperienza manageriale. Con il patrimonio industriale, culturale, e creativo e con tutti la potenzialità turistica del territorio si può fare molto di più. Penso ai servizi tecnologici e alla digitalizzazione, che consentono alle imprese, pure se piccole e a conduzione familiare, di raccogliere la sfida di valorizzare i dati della clientela al fine di vendere/innovare i prodotti ed i servizi offerti. Una considerazione personale: trasversalità e managerializzazione dovrebbero e potrebbero essere molto supportate dalla Regione Lazio contribuendo con dei finanziamenti per quelle imprese turistiche/ alberghiere o di ristorazione che investissero con progetti concreti in questa direzione. Certo è che, comunque, il Covid ha insegnato e trasmesso una cosa fondamentale: il turismo del futuro è e sarà fondato su un’ospitalità di alta qualità.
Ha un consiglio da dare alla attuale classe dirigente politica cittadina?
Bisogna adeguarsi ad un nuovo modo di pensare, che porterà alla sostanza delle cose più che alla loro forma, anche e soprattutto al turismo di qualità. L’accoglienza è e sarà il fattore più importante per la ristorazione ed il turismo è parte del DNA del nostro Paese. Il Covid da parte sua ha portato è porterà al cambiamento del mondo, non ce ne accorgiamo ma lo sta già facendo. Ci stiamo abituando all’uso della mascherina, ad igienizzare le mani frequentemente, a salutarci senza dare la mano. Ci siamo abituati al distanziamento, al green pass, allo smart working, in alcuni casi anche all’insegnamento a distanza. E chissà ancora cosa ci costringerà a fare, a cosa ancora dovremo abituarci. Ed è per questo che, l’ultimo punto ma certamente non il meno importante, sarà quello di far rinascere il desiderio, un desiderio nuovo direi io, di vivere l’esperienza di un viaggio. Dovremmo essere capaci di farlo fortemente desiderare, creando le giuste aspettative che sono le premesse fondamentali per un turismo di qualità, per un turismo attento che voglia assaporare e gustare totalmente la bellezza dei luoghi, le particolarità di vita, le peculiarità del territorio, la sua storia eno-gastronomica. In futuro, ne sono certo, si andrà in modo più diretti verso l’anima delle cose, delle imprese, delle aziende tutte, impegnate in quella bellissima e straordinaria attività che è l’ospitalità e la ristorazione.