Riunioni, avvocati e sentenze, a Guidonia Montecelio è scoppiata la rivolta dei genitori che intendono ottenere il diritto al pasto da casa per i propri figli. Sono gli effetti della stangata che ha riguardato la mensa, un salasso per molte famiglie che chiedono di vedere tutelati i propri diritti. E qui arrivano i problemi: il Comune si è detto favorevole ma ha lasciato di fatto la palla in mano ai dirigenti scolastici. I presidi dei nove istituti comprensivi della città, dal canto loro, dopo riunioni e comunicati, hanno stabilito la linea: per adesso è impossibile concedere la possibilità agli alunni di portare il pranzo, colpa di una serie di ostacoli organizzativi, sanitari e burocratici, i genitori se vogliono però avranno l’opportunità di andarli a prendere per un’ora e farli mangiare a casa, con l’impegno a presentarsi per il suono della campanella del pomeriggio. “Impensabile”, dice Luisa, mamma di due bambine a Colleverde, per chi lavora è impraticabile. Così con queste posizioni messe nere su bianco, molti genitori che mercoledì si sono riuniti in assemblea con gli avvocati, si preparano a dare battaglia. L’avvio del tempo pieno all’inizio della prossima settimana sarà nel caos in ogni quartiere: non solo c’è stato un crollo delle domande della mensa, praticamente ovunque, ma tanti bambini arriveranno con il pranzo nello zaino.
Il Comune, le tariffe e gli sforzi che non bastano. Durante l’anno di commissariamento del Comune di Guidonia Montecelio, vengono fuori le magagne nei conti pubblici. Insomma, le casse della terza città del Lazio sono a secco, così per evitare il dissesto vero e proprio, il viceprefetto alla guida del Palazzo sceglie la strada del piano di riequilibrio. In sostanza la città chiede allo Stato un prestito da 24 milioni per coprire il buco, da restituire in dieci anni durante i quali le cinghe però devono essere strette al massimo. Risultato, le tariffe devo salire più che si può. E questo accade. La mensa – ma non solo, basti pensare allo scuolabus che infatti non c’è più – passa a quote vertiginose perché il Comune non può più sobbarcarsi spese. La materia è oggetto di campagna elettorale in ogni schieramento, vincono i cinque stelle che passano agosto a lavorare sui temi scottanti della scuola. Rimodulano i “prezzi”, abbassando quelle tariffe decise dal commissario del 17%, instaurando il pasto a consumo, e dando via libera alla rateizzazione mensile. Sul pasto da casa però alzano le mani, la tesi è semplice: il Comune è favorevole ma la decisione spetta ai dirigenti scolastici. C’è chi plaude, ma il malumore cresce, e tanti genitori si organizzano. “Io sono sola con due bambine – racconta Luisa – e per me queste tariffe sono comunque insostenibili. Il risparmio del 17 percento? Uno zuccherino, pago comunque 140 euro in più a bambina”.
Le scuole in plenaria ora dicono “no”. I dirigenti scolastici si ritrovano con una patata bollente e la clessidra che scorre veloce. Iniziano incontri e vengono celebrate due riunioni nell’aula consigliare insieme alla Bioristoro, all’amministrazione e a rappresentanti dei genitori, mentre il parere della Asl viene incassato in separata sede. Tant’è che i presidi mostrano dispobilità a intraprendere l’esperienza il prossimo anno, o magari prima, ma certo non subito considerando le criticità logistiche. In nove punti spiegano quali sono gli ostacoli: la necessità di avere personale in più da destinare alla preparazione del locale da usare per far consumare il pasto da casa, altro personale per la vigilanza, la mancanza di un locale idoneo e di adeguati strumenti per la conservazione dei cibi, le problematiche igienico sanitarie, la responsabilità dei dirigenti in assenza di tracciabilità degli alimenti, l’assenza di linee guida del ministero e di chiare indicazioni della Asl, e infine le “perplessità” dal punto di vista educativo a mettere i bambini con pasto domestico in un locale separato, “venendo meno la finalità di inclusione e di uguaglianza che la scuola persegue”. I dirigenti apprezzano gli sforzi dell’amministrazione ma ricordano come a fronte di queste problematiche il Comune non abbia trovato “risposte concrete”. Quindi il pasto da casa adesso viene negato, ma ai genitori è concessa la possibilità di andare a prendere i bambini per l’ora di pranzo.
I genitori non ne vogliono sapere. Mentre presentano alle segreterie scolastiche diffide e domande con riserva, le famiglie si preparano però a mandare i bambini a scuola muniti di termos e cibo. “Il servizio mensa non è obbligatorio – dice Luisa – altrimenti non sarebbe a domanda individuale. Il problema delle tariffe c’è da mesi e non si è intervenuti per tempo, adesso chiediamo di vedere rispettati i nostri diritti ma soprattutto quelli dei nostri figli. Su questo non faremo passi indietro”.
Gea Petrini
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