Da Fonte Nuova a Chelm, la settimana di un volontario al confine tra Polonia e Ucraina

Nelle ultime settimane la tragedia della guerra ha spinto milioni di ucraini a scappare dalle proprie città e a rifugiarsi nei paesi più vicini, in particolare in Polonia. Nello specifico si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di donne e bambini costretti a fuggire dalle proprie case e dalle loro famiglie. Per accoglierli Varsavia ha predisposto un ingente impiego di risorse; tuttavia, per garantire un’adeguata assistenza, sono accorsi nelle città polacche di confine molti volontari da tutta Europa per offrire parte del loro tempo e della loro disponibilità, portando beni di prima necessità per i rifugiati.
È stato in una di quelle città anche Gioele Mercante, ex delegato del sindaco Vittori al dialogo interculturale a Fonte Nuova, oggi molto attivo nel sociale.

Il viaggio

Gioele ha affrontato un viaggio in furgone durato complessivamente una settimana ed è rientrato a Tor Lupara da qualche giorno. Si è recato a Chelm, città polacca al confine con l’Ucraina, con una delegazione della Chiesa Battista di Trastevere. Lo scopo del viaggio era quello di portare medicinali a Leopoli e mettere a disposizione il furgone per chi avesse necessità di raggiungere l’Italia.
“Il pastore della Chiesa Battista di Trastevere Ivano De Gasperis voleva portare beni di prima necessità anche in Ucraina, all’interno del paese – racconta il volontario –. Gli serviva un cambio alla guida e io mi sono fatto avanti. Abbiamo viaggiato per tantissimi chilometri alternandoci al volante. Con noi c’era anche il figlio di Ivano, Raul”.
Il pastore si è addentrato molto coraggiosamente fino a Leopoli per consegnare i beni di prima necessità raccolti a Roma dalla sua comunità. Gioele e Raul sono rimasti a Chelm per dare una mano ai volontari polacchi.
“Ho lavorato nel magazzino, ci occupavamo dello stoccaggio degli aiuti, essenzialmente dovevamo spacchettare i prodotti e riorganizzarli per tipologia e per il trasporto”, racconta Gioele. “Nel corso della nostra permanenza, abbiamo fatto alcune soste nei centri di accoglienza all’interno delle chiese che si sono aperte in maniera molto attiva. La cosa molto bella era la sinergia di tutte le istituzioni: protezione civile, comuni, volontariato laico e religioso. Lavoravano tutti come un unico corpo. Le realtà religiose si sono date molto da fare”.

La situazione al confine

Chi scappa dalla guerra vuole tornare a casa non appena le condizioni consentano di varcare nuovamente il confine, per questo la maggior parte dei rifugiati non si muove dalla Polonia per restare vicino all’Ucraina e rientrare appena possibile.
“Va disinnescata l’idea che saremo invasi da orde di ucraini, dato che non sono migranti economici – spiega il volontario di Fonte Nuova –. Vogliono rimanere in Polonia, vicini alle famiglie. Sperano che questa situazione sia temporanea e sperano di ricongiungersi lì, in Ucraina. Soprattutto per il fatto che gli uomini non possono uscire”. A uscire sono le donne che cercano di proteggere i figli. Tra gli uomini che riescono a superare il confine ci sono i papà di famiglie numerose. “La Polonia li sta accogliendo molto bene, il governo dà dei sussidi a tutti i bambini che rimangono – continua Gioele nel suo racconto –. L’organizzazione è attenta a tutte le esigenze: ci sono centri di lunga accoglienza e di transizione, in questi ultimi viene curato l’accesso al lavoro per gli adulti e alla scuola per i bambini”.
La tragedia dei bombardamenti la può leggere chiunque nelle immagini riportate dai media nazionali e locali, in tv o sul web, ma a Chelm nei centri per i rifugiati l’orrore della guerra a volte sembra lontano.
“C’è molta buona volontà da parte di tutti. Questo incontro tra fedeli di religioni diverse, affratellati dalla solidarietà, è la cosa che più mi ha rinfrancato. Dall’altra parte mi ha stupito vedere la forza delle donne ucraine, proattive e decise. L’immagine più bella la offrono i bambini: quasi inconsapevoli di quel che sta succedendo, il loro sorriso e la loro voglia di giocare sono davvero commoventi”.  

Il viaggio di ritorno con la babushka, la sua nipotina e il cagnolino

La settimana da volontario di Gioele si è conclusa con un lungo viaggio di ritorno in furgone assieme al pastore battista Ivano De Gasperis. Raul, il figlio del religioso, è rimasto a Chelm per offrire il suo aiuto.
“Al rientro abbiamo dato un passaggio a due donne e un ragazzo fino a Varsavia, mentre da Breslavia abbiamo condiviso il viaggio con una donna ucraina russofona e la sua nipotina dirette in Italia”. La babushka (‘nonna’ in russo) ha una figlia poliziotta che è rimasta in Ucraina per combattere con la resistenza, la ragazzina di 13 anni che è con lei soffre molto la mancanza della mamma. In questi casi comunicare è molto complicato, lo scoglio più difficile da superare è rappresentato ovviamente dalla lingua. “Tra queste persone è raro trovare qualcuno in grado di comunicare in inglese, noi ci siamo affidati a google translate che si è rivelato un prezioso alleato nel corso del viaggio di ritorno – spiega Gioele –. Per stabilire un legame con la nipote, che subiva di più la sofferenza della situazione, abbiamo trovato un simpatico escamotage: siamo riusciti a parlare con lei grazie all’interazione con il suo cagnolino”. La bambina non riusciva a consumare i pasti, provata dall’angoscia. Si è sciolta nel momento in cui i volontari hanno dato da mangiare al suo cane.
La nonna e la sua nipotina sono state accompagnate a Firenze, a casa di parenti, e i volontari hanno fatto ritorno a Roma.
“Gli aiuti ci sono, sono tanti – conclude Gioele –. C’è una grande organizzazione della macchina della solidarietà. Il ricordo di questa esperienza lo porterò sempre nel cuore”.


La scritta in lingua ucraina sul furgone: “Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli o periremo insieme come stolti”, Martin Luther King.