Nuova puntata della saga che vede protagonista il Comune di Tivoli e la Acque Albule, la società, pubblica per il 60% delle azioni, che gestisce le Terme di Roma. Stavolta sul tavolo c’è il ricorso al Consiglio di Stato promosso dall’azienda per ottenere un risarcimento danni milionario richiesto a fronte del mancato permesso a costruire rilasciato dal Comune di Tivoli per l’ormai noto lotto B.
Il diniego del permesso a costruire sul lotto B e la battaglia legale con tra Comune e Terme
Per rinfrescare la memoria si tratta della seconda parte della lottizzazione di Piazza Catullo, il complesso di appartamenti situato sul terreno che un tempo apparteneva al pubblico demanio, conferito all’azienda in seguito ad un aumento di capitale. Nell’anno 2012, sindaco Sandro Gallotti, l’allora dirigente all’Urbanistica, Ercole Lupi, non firmò il via libera ai lavori per una parte del cantiere per difformità di natura urbanistica, dando così il là ad una lunga serie di azioni legali finite con la nomina di un commissario da parte del Prefetto di Roma, che alla fine ha sbloccato la vicenda in favore della Acque Albule, che dunque ha iniziato a costruire. A rimanere in piedi però è stato il contenzioso relativo alla faccenda economica, decisamente salata, finito in prima battuta all’attenzione del Tribunale Amministrativo del Lazio.
La richiesta di risarcimento danni milionaria e la sentenza del Tar del Lazio
Sul piatto ci sono quattro voci: il ritardo della commercializzazione dei beni stimabile in euro 743.000,00; gli interessi passivi sul finanziamento per l’acquisizione della proprietà stimabili in euro 138.000,00; il mancato utilizzo – utile d’impresa – pari a euro 1.677.500,00; opere propedeutiche all’inizio dei lavori pari ad euro 50.000,00. Una bella cifra insomma che secondo i giudici, che hanno emesso sentenza nel novembre dello scorso anno, non andava corrisposta, vista anche le difficoltà di vendita degli immobili dell’altro lotto, prova del fatto che i permessi del municipio poco c’entrano con gli incassi mancati: “solo cinque immobili su 23 sono stati venduti nel 2012, mentre da tre anni a questa parte la Società non ha venduto neppure un immobile dei 18 realizzati; potendosi, pertanto, plausibilmente ritenere che non è in alcun modo riconducibile al mancato rilascio tempestivo del permesso il permesso di costruire in questione, la mancata vendita dei relativi immobili – si legge nella sentenza numero 12688/2015 – quanto alle altre voci – interessi passivi, mancato utilizzo dell’utile d’impresa, spese propedeutiche – la parte ricorrente non ha fornito alcuna prova. Per quanto sin qui rilevato, la domanda di risarcimento del danno deve essere respinta”. E adesso? La palla passa al Consiglio di Stato a cui la spa si è rivolta senza colpo ferire e contro cui il Comune, con la delibera di giunta 128 del 5 luglio, ha dato mandato di resistere in giudizio, nominando se necessario anche un consulente tecnico di parte. Altro giro, altra corsa.
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