di Virginia Gigliotti
Da Chicago all’Oklahoma, da Berlino a Johannesburg a caccia di dinosauri e di paesi che, contrariamente all’Italia, investono sulla ricerca. Un viaggio interminabile, nello spazio e nel tempo, quello di Marco Romano, il ricercatore paleontologo nato a Roma ma cresciuto a Guidonia Montecelio. Una vita non solo dedita a dinosauri, impronte e reperti quella di Romano, che si racconta invece come un amante della letteratura, della bicicletta, del cinema ma sopratutto della musica. “Suono la chitarra elettrica dai tempi del liceo, anche se negli ultimi anni l’ho dovuta un po’ accantonare per i diversi spostamenti legati alla mia ricerca. Ho suonato con diverse band di zona, passando da cover metallare degli Iron Maiden a quelle dei cartoni animati nella leggendaria Ufo Rock Band, che ancora imperversa sui migliori palchi della Capitale”. Una passione, quella per la paleontologia, nata ancora prima dell’uscita del famoso lungometraggio di Jurassic Park nel 1993 che, come racconta il ricercatore romano, “ha traviato irrimediabilmente molti giovani menti”. La sua carriera da ricercatore inizia tra i banchi della facoltà di Geologia all’Università La Sapienza di Roma, per poi passare agli Stati Uniti, alla Germania, fino in Sud Africa, dove adesso sta svolgendo un post-doc presso l’Evolutionary Sciences Institute (University of the Witwatersrand) per studiare gli antenati dei mammiferi e condurre campagne di scavo nel Bacino del Karoo. “La ricerca all’estero, come in molti altri casi paragonabili alla mia situazione, è il risultato essenzialmente di due fattori principali concomitanti – dice Romano -. In primo luogo molti gruppi particolari di fossili si trovano e sono conservati in strutture fuori dall’Italia, in secondo luogo, il nostro paese purtroppo da diversi anni sta puntando e investendo sempre meno sulla ricerca e partire per seguire le proprie passioni diventa una necessità vera e propria”. Ed è proprio tra le pagine di “Tra la vita e la morte avrei scelto l’America”, il suo libro da poco pubblicato per per Gruppo Editoriale Gedi, che il ricercatore tiburtino riporta una generale critica ironica e pungente del nostro paese. “Il testo narra in modo ironico, e volutamente caricaturale, il titanico scontro tra la cultura Italiana e quella degli Stati Uniti d’America, utilizzando, come chiave narrativa, il tema purtroppo attuale della fuga di un ricercatore precario italiano nel paese delle occasioni. Generazioni cuscinetto, di passaggio, costrette a emigrare in altri lidi per studiare, fare ricerca, inseguire qualsiasi tipo di sogno o passione. Un paese, l’Italia, in cui sono state fatte carte false pur di rendere strutturale e sistemica la condizione di eterna precarietà, impedendo ogni timida e velleitaria speranza di progettualità per il futuro. Ma l’italiano in fuga, nel profondo, è troppo innamorato del suo piccolo stivale”. Nonostante il suo lavoro lo abbia costretto a trascorre lunghi periodi lontano da casa, Romano rimane legato ai luoghi in cui è cresciuto e tra i suoi progetti futuri c’è sicuramente quello di tornare in Italia. “Guidonia è la città che mi ha dato i natali e la città dell’infanzia, per questi motivi ci sono indissolubilmente ed emotivamente legato – racconta il ricercatore – Tuttavia, osservata dall’esterno, sembra essere passata da una piccola realtà a misura d’uomo a grande centro urbano caotico e dispersivo, oramai quasi continuazione periferica e dormitorio della Capitale. Sono quasi quattro anni ormai che non vivo più in modo stabile a Guidonia, ma le ultime volte che mi è capitato di fare una passeggiata nella parte vecchia, tra le palestre delle case popolari razionaliste e il Comune, mi è sembrata quasi evanescente, svuotata di quella vita brulicante che ricordo da bambino. Tra i progetti futuri c’è sicuramente la voglia di tornare a fare ricerca, insegnare, e trasmettere la mia passione nel paese dove sono nato e cresciuto, l’Italia, e speriamo un giorno di riprendere in mano anche la buona vecchia Fender Stratocaster e tornare a fare un po’ di rock”.
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