di Vincenzo Perrone
Mancano ormai pochi giorni all’appuntamento elettorale del 4 dicembre sulla riforma costituzionale che porta il nome del ministro Maria Elena Boschi. Al di là delle tifoserie a favore o avverse al governo Renzi, abbiamo cercato di entrare nel merito della riforma con Francesco Mongiu, segretario fontenovese del Partito Democratico a impegnato sul “sì”, e Valerio Novelli, capogruppo uscente nel consiglio comunale di Fonte Nuova ed ex candidato sindaco del Movimento 5 Stelle sostenitore del “no”. Abbiamo posto ai due esponenti politici otto domande sulla riforma e, in questa prima parte, pubblichiamo le risposte di Mongiu.
Con questa riforma scompare il bicameralismo perfetto. La Camera dei deputati avrà un maggiore potere legislativo rispetto al Senato e sarà l’unica a concedere la fiducia al governo. Tutto questo rischia di diminuire la funzione di controllo del parlamento sul governo o accelererà l’iter legislativo?
Una Camera in meno rende chiaramente più veloce l’iter, è necessaria una sola approvazione invece di un numero non prevedibile. La funzione di controllo sul governo non solo resta la stessa, ma è perfino maggiore con la modifica dell’articolo 77, che pone dei limiti all’uso dei decreti legge, di cui oggi si fa uso eccessivo e di cui se ne continuerebbe a fare se vincesse il no.
La riforma prevede il passaggio da 315 a 100 senatori che non avranno più l’indennità parlamentare, poichè già retribuiti come consiglieri regionali o sindaci. C’è un vero risparmio per le casse dello stato?
Il risparmio c’è, dato che ci sono 215 parlamentari in meno e in cento non prendono l’indennità. Inoltre i consiglieri regionali non potrebbero nemmeno alzarsi l’indennità oltre quella del sindaco del loro capoluogo regionale, grazie al nuovo articolo 122.
Se dovesse vincere il sì al referendum, i senatori non saranno più eletti direttamente dal popolo ma votati dai consiglieri regionali. E’ un procedimento che toglie rappresentatività o rende più snelle le procedure?
Questa è un’affermazione non vera: l’articolo 57 dice “In conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”. Al momento del rinnovo dei consigli regionali gli elettori e solo loro decideranno quali consiglieri saranno anche senatori.
I nuovi senatori avranno ugualmente l’immunità parlamentare. C’è il rischio che in parlamento vengano mandate persone con problemi giudiziari?
No, l’immunità vale soltanto per gli atti da senatore. Se si hanno problemi giudiziari di altra natura questi non sono coperti dall’immunità.
Con la modifica dell’articolo 117 della costituzione molte competenze tornerebbero allo Stato mentre ora sono gestite dalle Regioni (per esempio la sanità) e, inoltre, viene introdotta la clausola di supremazia sempre dello Stato sulle Regioni. Il potere sarebbe, quindi, troppo accentrato nella mani statali o verrebbero evitati molti sprechi che hanno visto protagoniste le Regioni negli ultimi anni?
Precisiamo che la sanità rimane regionale. In questo caso si tratta di rimediare agli errori della riforma del 2001. Si riaccentrano solo i settori che ovunque nel mondo sono di competenza centrale, come le politiche energetiche. Per il resto la vera riforma è l’eliminazione della materia concorrente, cioè quella parte che nella riforma del 2001 era sia statale che regionale: con la nuova Costituzione una materia o è regionale o è statale. Meno conflitti, meno sprechi.
La riforma prevede l’eliminazione del riconoscimento costituzionale delle province come ente e l’abolizione del Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro). Cosa cambia effettivamente?
I cittadini non perdono nulla: il Cnel è un organo ormai inutile, le province hanno radicalmente mutato la loro funzione dagli anni ’90 in poi.
Uno degli ambiti che tocca la riforma è la democrazia diretta. Il numero di firme per presentare una legge di iniziativa popolare salirebbe da 50mila a 150mila. Il quorum nei referendum abrogativi rimarrebbe del 50% più uno, ma se a proporlo saranno almeno 800mila persone, scenderebbe al 50% più uno degli elettori delle precedenti elezioni politiche nazionali. Con questi provvedimenti si rafforza o si indebolisce la democrazia diretta?
Le leggi di iniziativa popolare in passato non venivano nemmeno discusse. Il nuovo articolo 71 invece obbliga il parlamento alla discussione e alla decisione in tempi certi. Nel caso del referendum la situazione è uguale ad adesso, con in più la possibilità, se si raggiungono 800 mila firme, di avere un quorum necessario minore.
Faccia un appello agli elettori.
L’unico appello che mi sento di fare ai cittadini è di votare tenendo conto del merito della riforma, non contro qualcuno o qualcosa in generale. Votare sì significa gettare le basi per le sfide che ci attendono nel futuro, per dimostrare a noi stessi ed al mondo che l’Italia non è un Paese irriformabile e per far sì che la nostra democrazia possa funzionare finalmente al massimo delle sue possibilità e potenzialità.
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