di Alessandra Paparelli
Intervista a Silvia Gatti, insegnante, pedagogista del movimento. Collabora con la rivista di settore online L’Amletico, rubrica “pensieri danzati”.
Che tempo è stato quello della quarantena, dell’emergenza Covid-19 e che tempo è questo della ripresa?
Il tempo della quarantena è stato un tempo “sospeso”, a tratti buio e doloroso ma denso di possibilità progettuali nuove per chi è riuscito ad ascoltarsi profondamente. D’improvviso il tempo si è fermato e ci ha inghiottito in un vuoto e in un silenzio senza sapere quando e come sarebbe terminato: una sensazione iniziale davvero straniante e oppressiva. La resilienza mi ha tirata fuori dall’incertezza e dallo sbigottimento dei primi giorni e ho cercato di creare nuove cose, ho immaginato strade inesplorate e ripensato ad una modalità per dare forma alle mie idee. Il tempo della ripresa coincide con la bella stagione ed è una fioritura meravigliosa. Siamo usciti dalla caverna, come i prigionieri nel mito di Platone, ma gli occhi sono ancora accecati, socchiusi, e il dolore e la paura sono ancora dentro di noi; dobbiamo imparare a convivere e a relazionarci sapendo di non essere più gli stessi. Non dobbiamo dimenticare il tempo della quarantena, sarebbe un grave errore.
Serviva una sospensione, ne avevamo necessità? E perché?
Serviva un tempo lento. Un tempo dove nulla avrebbe potuto distogliere lo sguardo da noi stessi. Nella società di oggi, in cui i ritmi sono sempre serrati e ci affanniamo continuamente anche per poter respirare, in un istante abbiamo dovuto riscoprire come riempire questo tempo. Dal troppo poco, al troppo. A volte anche il silenzio diventava assordante perché in quel silenzio non potevamo evitare di ascoltare il battito del cuore e la percezione delle nostre emozioni, delle nostre fragilità.
C’era bisogno di una pandemia globale per riscoprire il valore e il termine “Cultura”? E che con la cultura “si mangia”? Ma soprattutto, dove sta andando la Cultura nel nostro Paese?
“Cultura” è un termine che viene dal latino “colĕre”, coltivare. E credo che in questo momento particolare abbiamo tutti avuto la possibilità di coltivare ciò che più amiamo. Gli affetti, ad esempio. Io ho ripreso in mano vecchi progetti e ho dato loro nuova vita. Ho scritto, cosa che non facevo da tempo. Ho inventato storie e mi sono sentita viva nei pensieri. La cultura e l’accuratezza, lo studio e l’approfondimento, la ricerca e la consapevolezza piena di ciò che si è e di ciò che si fa non sono valori che in Italia vengono promossi, spesso neanche negli ambienti scolastici. La politica è quella dell’approssimazione, della velocità, della scarsa onestà intellettuale ma io sono una rivoluzionaria quindi credo nel cambiamento e ai ragazzi a scuola porto la “cultura” dell’ascolto profondo del sé e del rispetto dell’altro, innanzitutto. E poi la comprensione viva di ciò che si studia, attraverso l’utilizzo del corpo e non solo della mente.
Sei insegnante, tra gli argomenti della cronaca più caldi troviamo: distanziamento sociale in classe e possibile plexiglass, orari scaglionati, didattica a distanza. In base alla tua esperienza, sia di insegnante che di mamma, una tua riflessione sulla scuola e sul rapporto con i bambini, ragazzi.
Da tanti anni conduco laboratori di Movimento Creativo e Yoga nella scuola, in orario curricolare; il mio lavoro si integra al percorso didattico ed è finalizzato a dare forza e sostegno alle insegnanti di classe e a fornire ai discenti l’opportunità di sperimentare differenti tipologie di apprendimento, basate sulle potenzialità educative delle arti, dando forma ad un ambiente di ricerca fertile e vivace. Quello che spero da sempre per la scuola è che si possa dare centralità ad un’educazione attiva e possa essere riconosciuto il profondo valore pedagogico delle arti (danza, musica, teatro) per una crescita armonica e consapevole. Nella scuola di oggi il corpo è escluso, negato, quando anche le neuroscienze ci dicono che si apprende solo ciò che si vive in maniera totale, con tutti i sensi. Si è dimostrato che la valorizzazione della dimensione corporea ed emotiva nella didattica sia centrale nei processi di acquisizione dei contenuti e che si possa parlare di “apprendimento” solo quando ci sia una sedimentazione profonda di ciò che si studia: ciò avviene in maniera più armonica e naturale se si attivano modalità di insegnamento che non escludano il corpo, il movimento, l’espressione del sé. I ragazzi a scuola non portano solo la testa, anche se il corpo è nascosto dal banco. Bisogna guardare oltre. Questo è un momento prezioso per la scuola: abbiamo la possibilità di introdurre dei grandi cambiamenti, per ripensarla, per creare un ambiente più fertile adatto alla crescita dei nuovi cittadini del mondo ma dobbiamo affidarci a degli esperti; il rischio è che si agisca con superficialità e velocemente, per ripartire poi a Settembre con qualche idea disordinata e poco consona alle reali esigenze degli studenti e dei docenti.
Quali sono i tuoi progetti?
Ho appena vinto un bando: il mio progetto “A(c)Cogliere”, presentato con l’Associazione ADAM Scuole è stato selezionato per partecipare alla nuova edizione del Festival 2020 GESTI NUOVI- Bando nuova creazione Sala 14, Direzione Artistica Matroos TheatreDance Company. “A(c)Cogliere” nasce durante la quarantena da un’esigenza intima di muovere il corpo, o almeno una parte di esso, per dare voce ad una storia intensa, viva, delicata. Un racconto in 3 minuti, interpretato da me e musicato da Stefano Proietti che parla una lingua universalmente compresa, la lingua del corpo, e svela una trama densa di umanità. Ad Ottobre ci sarà la resa scenica del progetto presso la Sala 14, in Via Bellini, 14, Monterotondo (RM) e sto lavorando su quest’idea di performance. Nel frattempo, scrivo progetti per la scuola insieme ad altri colleghi educatori musicali, teatrali e del movimento e mi preparo per il nuovo anno che certamente sarà denso di novità.
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