Home Cronaca Il talento di Giordano Petri. “Dopo l’emergenza? Abbracciare i miei cari”

Il talento di Giordano Petri. “Dopo l’emergenza? Abbracciare i miei cari”

Il talento di Giordano Petri. “Dopo l’emergenza? Abbracciare i miei cari”

di Alessandra Paparelli

Intervista a Giordano Petri, attore di teatro, cinema, serie tv. Pieno di talento, volto di spicco di molte fiction targate Rai e Mediaset. L’ultima volta ci siamo sentiti in diretta telefonica a Breakfast in Italia, Radio Italia Anni 60 Roma, era il 7 marzo scorso e ancora non c’erano le nuove normative restrittive, ulteriori, del decreto governativo. Cosa è cambiato? Come stai gestendo da casa il tuo lavoro e vita, l’emergenza Coronavirus, pandemia globale? 

Come sempre è un piacere parlare con te, quando ci siamo sentiti telefonicamente in diretta radiofonica,  l’Italia era appena entrata nella morsa del Coronavirus. Purtroppo la situazione in breve tempo è sfuggita di mano colpendo non più solo il nostro nord ma tutta l’Italia. La nostra bella Patria si è tinta di rosso e vivremo “un po’ isolati” a lungo. A tutti noi viene chiesto di fare la propria parte, ridurre i contatti sociali per rallentare l’epidemia del contagio. All’inizio ho un po’ sottovalutato la situazione, come ha fatto la stragrande maggioranza degli italiani, perché non avevo mai vissuto un’esperienza del genere.  Ora ti confesso che sono spaventato e mi sento impotente. In questa clausura forzata con tanto tempo a disposizione mi dedico alla lettura di libri, al recupero di film e serie tv che avevo perso, alla lettura di testi teatrali, con maggiore attenzione a quelli inediti e mai rappresentati per una eventuale messa in scena. Mi aiuta molto l’esercizio fisico, grazie anche agli strumenti tecnologici cerco di restare in forma; inoltre, tanta musica. Ascolto la mia collezione di vinili, come piace a me, e riscopro brani e suoni che avevo dimenticato… Uno su tutti Lucio Dalla e i suoi album meno conosciuti… è un poeta unico… Quanto manca.. E poi, pulizie di casa… tante! Mettendo in ordine ho ritrovato oggetti che non sapevo neanche di avere. 

E’ da qualche ora uscito il decreto Conte sulle misure a sostegno dei lavoratori dello spettacolo e di tutto l’indotto, cosa ne pensi? Annullati più di 75mila eventi artistici (live, spettacoli teatrali, prime cinematografiche, concerti, mostre d’arte), la parola “spettacolo” andava salvaguardata, gli artisti e tutto l’indotto, tutelati.

Per il mondo della cultura, per chi fa spettacolo, per i tantissimi che vivono come precari, freelance, le conseguenze delle chiusure per Covid-19 sono devastanti. Stiamo assistendo alla cancellazione in tutta Italia di numerosi eventi culturali e di spettacoli a tempo indeterminato, per molte settimane o mesi ancora, con una perdita di introiti irrecuperabili nel tempo, senza nessun tipo di copertura o accesso al credito o dilazione di pagamenti. Questa crisi di lavoro ha fatto emergere la scandalosatotale mancanza di riconoscimento e di rispetto per il lavoro di centinaia di migliaia di professionisti dello spettacolo, con discriminazioni previdenziali e reddituali indegne.  Arriva una una tantum da 500 euro più rimborsi degli spettacoli saltati e sostegno all’editoria, ma per il settore della Cultura si tratta di palliativi poco efficaci. Staremo a vedere. Spero ci siano interventi più sostanziali e continuativi. 

Nel nuovo testo del decreto, partito da ieri 16 marzo, che vale 25 miliardi e prevede sostegno alle famiglie, alle imprese e all’economia del Paese, è previsto che ai lavoratori iscritti al Fondo pensioni Lavoratori dello Spettacolo, con reddito non superiore a 50mila euro e contributi giornalieri che siano almeno 30 per il 2019, sia riconosciuta un’indennità una tantum di 500 euro. E’ una domanda tecnica, ti senti di dire qualcosa?

Non ho le competenze per addentrarmi nei particolari ma credo che occorra che i nostri governanti capiscano che non siamo una categoria speciale e che sarebbe anche ora che i grandi sindacati confederali cominciassero a pensare che i problemi principali degli artisti non sono la mancanza delle cosiddette tutele minori (disoccupazione, maternità, ecc), ma il prevedibile mancato pensionamento per carenza di contributi.

Parliamo della tua bellissima carriera artistica: sei considerato giustamente un attore talentuoso, come è iniziata la tua voglia ed esigenza di recitare? Hai fatto tanto teatro ad alti livelli, spettacoli e artisti prestigiosi con cui hai collaborato.  Naturalmente parliamo anche di cinema, fiction tv, serie tv. Il 2002 ha segnato il tuo debutto al cinema con Pinocchio, di Roberto Benigni. Cosa ricordi di quella esperienza?

Non saprei dire quando sia nata precisamente questa grande passione: credo di averla sempre avuta. Ho sempre sentito l’esigenza di stare al centro dell’attenzione, non in senso narcisistico ma umano, degli affetti. Da piccolo ero affascinato dai varietà del sabato sera, che sicuramente mi hanno stimolato e hanno contribuito a fortificare la mia grande passione per lo spettacolo. Preferivo guardare film ai cartoni, e crescendo ho sempre sentito una vicinanza ad ogni attore che seguivo nei film, sentivo di essere come loro. Poi una sera, rivedendo l’ennesima volta l’Attimo Fuggente di Peter Weir mi sono illuminato e ho capito che quella era la mia strada. Da lì tanto studio, il diploma alla Scuola Nazionale di Cinema di Roma e nel 2002 il primo ruolo cinematografico importante in Pinocchio di Benigni. Ricordo ancora l’emozione quando il casting director mi scelse, mi pareva un sogno! Sono stato molto fortunato, ho iniziato dalla porta principale! Con Benigni ci si divertiva molto, anche se sul set si respirava la sua grande professionalità. La troupe era composta da grandissimi nomi e questo mi intimoriva un po’, ma poi attraverso la leggerezza e l’ironia, Benigni riportava tutto alla normalità. Era tutto molto familiare. Spesso durante le riprese, si faceva fatica a girare per le risate. Aveva un modo di affrontare la vita sempre in maniera leggera, non si agitava mai e riusciva sempre a smontare qualsiasi fatto drammatico. Tantissimi gli aneddoti da raccontare. Ricordo un giorno particolarmente piovoso, avevo appena finito di girare e tornando in albergo incontro Benigni che stava uscendo per andare sul set. Preoccupato per lui gli dissi: “Guardi, Maestro, proprio oggi non è la giornata giusta per andare sul set, non le conviene, ha piovuto e c’è molto fango”. Lui mi guardò e rispose: “Mi cambierò le scarpe”. Aveva la capacità di fare diventare straordinaria anche la cosa più insignificante.

Hai vinto nella tua carriera il prestigioso premio Nino Manfredi’ come miglior attore emergente e hai avuto una menzione speciale come migliore attore protagonista agli ‘Awards 2010 Sicilian Film Festival’ di Miami.

I festival sono la migliore occasione per incontrarsi. Io ho conosciuto molti registi che poi sono diventati cari amici. Quando poi, riesci a presentare anche un tuo lavoro e magari ottieni anche un riconoscimento allora tutto diventa ancora più emozionante. Tuttavia per mia impostazione sono più per il motto che il vero vincitore non è colui che vince sempre ma coluiche nonostante una sconfitta continua ad avere il coraggio di mettersi in gioco. A volte sognare è una necessità, a volte lottare strenuamente per realizzare il proprio sogno aiuta a crescere e a diventare un attore fuori dal coro, un attore che non si stanca mai di vivere infinite vite, passioni, sogni seguendo percorsi e ruoli non convenzionali: la concorrenza è tanta e ben rappresentata. Quindi è necessario fare sempre di più e meglio e mai adagiarsi su un premio o un trofeo.

Cosa offre il teatro, rispetto al cinema o alla tv? Che tipo di attore sei? 

Teatro e Cinema sono due forme d’arte diverse, con linguaggi differenti. E l’interprete deve adeguare le proprie capacità recitative all’arte espressiva che si trova ad affrontare. Per questo motivo la Recitazione Cinematografica e Teatrale sono differentie richiedono abilità diverse.  Ho iniziato lavorando in teatro e il teatro, almeno fino a un paio d’anni fa, è stata la mia principale attività. Per me recitare a teatro significa sentirmi a “casa”; la presenza del pubblico e l’emozione di andar in scena ogni sera sono qualcosa di straordinario a cui spero di non dover mai rinunciare. Il cinema parimenti mi affascina molto, la propria immagine impressa sul grande schermo, all’interno di una storia che sarà per sempre. Mentre a teatro l’attore è a tutto tondo protagonista, al cinema diventa più uno strumento a disposizione del disegno registico e questo è molto interessante.  Come attore mi considero “lucido e coerente” nel senso che la ricerca dell’applauso o della risata a tutti i costi non deve mai andare a sfavore della credibilità del personaggio che si interpreta. Ma sulla scena bisogna sempre essere consapevoli di dove si è. Questo è uno degli insegnamenti elementari che mi ha tramandato il maestro Luca Ronconi.

A tuo avviso, come usciremo dalla lunga emergenza Coronavirus? Si parlerebbe – il condizionale è d’obbligo – di emergenza fino a luglio/agosto, secondo medici, direttori sanitari e governanti, ci vorrà tempo e pazienza. Cosa può insegnarci questa tragedia, a livello umano?

L’epidemia di Covid-19 ci ha dimostrato che le persone non sanno e, non sapendo, non capiscono. Dobbiamo investire risorse importanti per l’educazione. L’istruzione è uno dei più importanti determinanti sociali della salute. Un’adeguata educazione alla salute consentirebbe di far capire alla gente perché è necessaria la quarantena, perché le partite di calcio non possono aver luogo, perché è meglio non correre nelle farmacie per comprare maschere e perché non si dovrebbe correre negli ospedali ai primi sintomi sospetti. Il personale insegnamento che traggo da questa traumatica esperienza è di non sprecare più il tempo che si ha a disposizione. Quello che appare come la fine, spesso è solo un nuovo inizio, per ripartire e cambiare quello che non ci piace.

E’ recentemente mancato un grandissimo attore, Flavio Bucci, con cui hai lavorato e di cui eri amico prezioso. Ricordiamolo con te, si era formato al Teatro Stabile di Torino, fu chiamato al cinema dal grande Elio Petri, tuo zio. Quindi ti chiedo un ricordo di entrambi. Bucci era anche doppiatore e produttore; tra i grandi registi che lo hanno voluto sul set ricordiamo Monicelli, Dario Argento, Salvatores, Paolo Virzì e Paolo Sorrentino. 

Flavio Bucci è stato uno dei migliori e più grandi interpreti che il cinema italiano ha avuto. Un’eccellenza che tutto il mondo ci ha sempre invidiato per la sua genialità, creatività e professionalità artistiche. Colpiva per la faccia un po’ asimmetrica, gli occhi sporgenti e la voce eternamente velata da una specie di fatica che le impediva di uscire limpida. Oltre che attore importante e dotato di un suo specialissimo stile, aveva avuto un enorme successo per lo meno a partire dal 1977 e cioè da quando aveva interpretato in tv, nello sceneggiato di Salvatore Nocita, il personaggio di Antonio Ligabue. Era stato straordinario quella volta. Poi grazie a Gian Maria Volontè l’incontro con Elio Petri, che Bucci chiamava Capoccione «perché aveva grandi idee ma anche un grande testone, e se sbagliavi ti menava».
Lo andavo a trovare spesso a Passoscuro, sul Litorale di Fiumicino, a casa sua, e i suoi racconti e le sue confessioni sono stati per me preziosi consigli di vita che custodisco gelosamente e ne faccio tesoro. Mi diceva sempre che gli errori, le sconfitte possono essere fonti di grandi e importanti lezioni, perché chi non sbaglia, vuol dire che non fa e non agisce. Ad ogni caduta occorre avere il coraggio di ricominciare e questo vuol dire riconoscere che nella vita ci sono le marce in avanti, poi c’è il folle e poi ci sono anche le marce indietro: questa è l’esistenza. E serve sempre tanto coraggio per non restare fermi.

Parliamo dell’ultimo film girato con Flavio Bucci  “Credo in un solo padre”, regia di Luca Guardabascio. Che ricordi conservi di questo ultimo lavoro con Bucci? Inoltre è una importante denuncia sul femminicidio. 

E’ stato un onore per me condividere con Flavio Bucci il suo ultimo lavoro cinematografico “Credo in un solo Padre” del regista Luca Guardabascio. Il film è la sofferta preghiera che una donna recita per scongiurare l’ennesima violenza di un carnefice. Un grido di dolore, come quello di tutte le donne e le persone vittime di violenza. E’  la storia di una doppia violenza sessuale perpetrata da “Nonno Giuseppe” nei confronti della nuora prima e della nipote poco più che adolescente poi, approfittando dell’assenza prolungata, per motivi di lavoro, del figlio. Il film ha già un valore sociale e molte sono le scommesse vinte, come quella di aver assunto sul set persone vittime di abusi e violenze. E Flavio è uno dei protagonisti della pellicola con me, Anna Marcello, Massimo Bonetti, Francesco Baccini (che ha curato anche la colonna sonora) e Luca Lionello. Che dire di Flavio sul set: apparentemente poteva risultare un attore scontroso, irriverente, esagerato ma sempre disponibile, mai inopportuno… pronto a tenderti una mano senza mai giudicarti o farti sentire inadeguato. Mi ha insegnato la capacità di osservazione, specialmente per i dettagli; diceva che i dettagli rivelano molte più cose ma bisogna saperli vedere. A volte era serioso avvolto nei suoi pensieri ma pronto subito a ritornare a scherzare sulle cose e sulle persone con ironia e intelligenza. Con Zio Domenico Bianco (è il ruolo che ha interpretato in Credo in un solo Padre) ho condiviso set, camerino, quotidianità fatta di aneddoti, racconti interminabili, consigli: mi diceva sempre  quando si ha una passione (cosa che io posso capire molto bene) è naturale avere il desiderio di migliorare sempre di più e raggiungere ottimi risultati. Sono anch’io una persona ambiziosa e lo sono stata sempre, fin da quando ho iniziato a fare teatro. Puntare in alto è la chiave del successo, perché spinge a migliorarsi e a credere nel proprio obiettivo. Poi, magari, non tutti i tuoi sogni si realizzeranno nel modo previsto e troverai una via alternativa… ma, come si dice, “punta alla Luna: se anche dovessi mancare il bersaglio, atterrerai tra le stelle”. Magari non vincerai un Oscar, ma otterrai comunque un risultato soddisfacente!

Giordano Petri uomo: quale sarà la prima cosa che farai dopo il superamento della tragedia Coronavirus? Ci sono cose che devi dire e che non hai mai detto, c’è un sogno nel cassetto? 

Sicuramente riabbracciare le persone care, gli amici. Sarà liberatorio dopo questo isolamento forzato organizzare una grande giornata tutti insieme, riunirsi di nuovo come un evento speciale che dia gioia a tutti.  Approfitterò per riappropriarmi delle bellezze della quotidianità, un caffè al bar, una seduta in palestra, un acquisto in libreria. E poi, un po’ di stacco dai social! Insomma tornerò ad essere più sociale e meno social. Non ho grandi cose in sospeso, ho solo voglia di riaffermare le mie passioni; mi riprometto di volermi bene, rispettarmi e apprezzare i limiti che ho scoperto di avere. Questa è l’occasione migliore.  Spero di poter  continuare dignitosamente il mio lavoro di attore esplorando continuamente personaggi diversi,  alimentando la mia passione con la curiosità e lo studio necessari. 

Aderisci all’hastag #iorestoacasa? Certamente, bisogna restare a casa. Rispetto delle regole, senso civico, rispetto per sé stessi e per gli altri, una clausura forzata necessaria perché tutto ritorni alla normalità e che tutto riprenda il suo giusto svolgimento, il quotidiano ritorni ad essere il protagonista sano, sanificato delle nostre giornate. Chi sbaglia paga, rimedi forti per le persone che ancora irresponsabilmente continuano a prendere sottogamba questa emergenza mondiale.

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