La foto del teschio, e la didascalia fornita dallo stesso capogruppo cinque stelle Giuliano Santoboni: ecco l’aspetto degli avversari, di chi critica, di chi chiede le dimissioni dell’amministrazione di Guidonia Montecelio, “fredde voci dall’oltretomba”, la fine che faranno è questa, o già lo sono. Un senza precedenti persino per la terza città del Lazio, dove di scontri politici se ne sono visti a bizzeffe ma mai sprofondare a livelli così pesanti: non solo fuori da qualsiasi logica del buongusto, ma evocando immagini di morte come messaggio politico nei confronti degli avversari e di chi critica. E’ la parabola della dialettica democratica, almeno così sembra, o un giro di boa verso quale direzione è difficile da prevedere, mentre si consumano ore di attesa e fibrillazione per la città. Gli operai delle cave dormono in piazza da una settimana, nelle tende, assediando il sindaco cinque stelle che non ha fornito alternative alle aziende condannate alla chiusura, per ora infatti sono due le cave bloccate, 100 e più i licenziati.
La tensione è montata, la pressione ha sfiancato i lavoratori e ha prodotto sulla maggioranza un effetto inaspettato. Anche se dietro c’è chi freme di difficoltà a incarnare il politico contestato dai lavoratori, scortato dalla polizia tra i lampeggianti, i fischi, le urla, fuori poi i cinque stelle, tra post contro la Lega alleata di governo e un fiume di troll che vanno e vengono come le stagioni, appaiono un monolite. Sono un grande “sasso”, giusto per parafrasare i termini utilizzati da assessori e consiglieri per definire il travertino, pregio del made in Italy nel mondo, che da motore dell’economia del Lazio, è finito per diventare un elemento di esclusiva “devastazione”, che crea la “buca”. In una asfittica visione si è deciso quindi di contrapporre l’ambiente al lavoro, senza cercare – come sarebbe il dovere di una amministrazione pubblica anche coraggiosa nel voler mettere mano al settore – di coniugare in un nuovo corso ogni elemento delicato e complesso: salvaguardando i lavoratori, per primi, la vita di un settore produttivo industriale, il rispetto delle regole, l’ambiente, e lanciando anzi un progetto di sviluppo. Dando alla città l’ossigeno del futuro, invece dei teschi. Tutto questo non è avvenuto, non solo per una questione di capacità, ma di idee: i cinque stelle vogliono chiudere le cave, era nel programma elettorale, non è quello lo sviluppo che perseguono. Alberghi o barbabietole, ma non il travertino.
Settimane dure per chi le ha vissute dalla piazza, incollati alla speranza di uno spiraglio nelle trattative in mano ai sindacati, agli imprenditori, e dall’altra al Comune. Il monolite cinque stelle però è molto più fragile di quanto le posizioni esternate dal gotha e dai fedelissimi non mostrino. Ne è la prova del nove le modalità di gestione concreta di questa crisi feroce, improvvisate in tutto e per tutto. La prima settimana di presidio, quando il sindaco Barbet è sceso a fornire agli operai ogni giorno una soluzione cancellata dopo poche ore con un colpo di spugna. Non si è capito più a un certo punto se solo per sedare la piazza esasperata. Modalità contraddittorie continuate in consiglio, proseguite fino a quando lo stesso Barbet, dopo dieci giorni di calvario dei lavoratori non ha chiarito la linea: le revoche per le cave considerate dal Comune fuori norma per quanto riguarda il piano di recupero, andranno avanti. Nessuna scialuppa, nessun appiglio: i cinque stelle hanno tentato così di trasformare lo scontro in una crociata di legalità sulle spalle dei lavoratori.
Si diceva del clima, pessimo. Ulteriori elementi? La solidarietà inviata via facebook al deputato del collegio Sebastiano Cubeddu dal sindaco Michel Barbet. Una esigenza nata dalle parti del primo cittadino, cioè il primo tra i cittadini, così dovrebbe essere, dopo gli “attacchi” subiti dall’onorevole ex farista da alcune forze politiche e da striscioni anonimi, oltre che dai lavoratori in piazza, e sul web. Lo stesso filone, di fondo, l’assenza di Cubeddu nell’emergenza di Guidonia. Quella solidarietà inviata dal sindaco nel sabato della festa patronale, mentre gli operai sono in piazza a reggere cartelli con le persone che ballano intorno, ha creato un certo effetto, nell’immaginario. Ma come? Ci si è chiesti tanto più il giorno dopo, quando la processione si è fermata davanti alla fila degli operai in segno di appoggio, con una benedizione che ha fatto emozionare molti, mentre i lavoratori rispondevano con un applauso. Eppure non è finita. Perché a inizio settimana il deputato lancia strali contro chi lo attacca, la solidarietà non basta, e si concentra chiaramente, in un panorama ormai del tutto anomalo, sulla stampa.
Arriva martedì, e tra Roma e Guidonia c’è una strada invisibile di attese, delusioni, speranze, paure. In Regione si voterà un testo per le cave, presentato nelle indiscrezioni e nelle dichiarazioni pubbliche come uno strumento per lenire le ferite e salvare l’occupazione, e apparso ieri invece nelle ore dei rumors delle stanze romane come una soluzione che potrebbe lasciare i lavoratori nei guai. Ancora non si sa molto di più, oggi è un’altra giornata di attesa. Telefoni roventi, wapp intasati, e intanto a Guidonia accade dell’altro. Si dimette l’assessore ai lavori pubblici Marco Colazza, formalmente per nuove opportunità professionali anche se i retroscenisti parlano di frizioni interne con un collega di esecutivo. La seconda sedia vuota nella Giunta Barbet, l’altra è quella al Personale senza reggente da luglio. L’opposizione si scatena, e invoca le dimissioni di Barbet certificando – la loro tesi – la fine di questa amministrazione.
E così nasce la risposta del capogruppo di maggioranza Santoboni, che spezza ogni regola del confronto politico pubblicando la foto del teschio: “Nella foto, primo piano di uno che aspetta la fine dell’amministrazione 5 Stelle a Guidonia Montecelio. Mettetevi il cuore in (Santa) pace. L’amministrazione del Sindaco Barbet, sta attraversando un momento difficile. Ma veramente qualcuno pensava che ce ne sarebbero stati di tranquilli? Eravamo preparati”. E così inizia a spiegare “molte cose ci sono cadute addosso e ci siamo trovati in situazioni che nessuno di noi avrebbe mai immaginato e che sono difficili da spiegare a parenti e amici”. Ed è una salita vertiginosa, il cinque stelle chiarisce due punti: governare è troppo difficile ma la missione è precisa, “con il chiaro e semplice mandato che ci è stato consegnato dai cittadini, cioè estirpare le clientele e il malaffare imperante nella nostra città per decenni (ve lo siete già scordati?) la barra rimane sempre saldamente a dritta e tenuta da una maggioranza quantomai compatta”. I cinque stelle si sostituiscono alla magistratura. E poi l’attualità. “Non mi nascondo. Non eravamo emotivamente preparati al fatto che far rispettare le norme sulle cave a soggetti che non le hanno mai rispettate avrebbe portato tanti miei concittadini al rischio di perdere il lavoro a causa delle tante inadempienze di chi doveva garantirglielo. Il nostro impegno da giorni e giorni è orientato ad evitare questo e con la riforma del settore, ad evitarlo anche in futuro. E ce la faremo”.
Insomma, il problema è emotivo, e si capisce ancora di più nel finale: “Quindi. Benvenutissime le critiche costruttive delle quali facciamo tesoro, ma le difficoltà sono tante e tali che urla sguaiate di fantomatiche dimissioni, letargici appelli scopiazzati dai nostri comunicati e sentenze sputate da chi guarda la nostra realtà attraverso lenti di frustrazione personale, arrivismo castrato e interessi di parte, non ci disturbano più di tanto. Sono fredde voci da oltretomba”. Così la forza di governo, l’abilità (e la vocazione) di ricucire gli strappi sociali, rimarginare le divisioni, non esistono: bisogna fare posto a una formazione politica in perenne guerra con l’esterno del Palazzo, che produce nell’amministrazione della città i risultati che si vedono, oggi ancora meglio, non avendo più tutti quegli alberi di mezzo.
Gea Petrini
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