di Gea Petrini
“Fateci lavorare”, l’operaio grida a Michel Barbet che si volta contrito, il sindaco è aspramente contestato dai lavoratori delle cave di Guidonia Montecelio. “Io mi riprendo il voto che vi ho dato”, urla un altro mentre le forze dell’ordine ben schierate tengono sotto controllo la piazza. Giornata di protesta, la strada vicino il Palazzo è occupata in modo dimostrativo per un po’ mentre altri attraversano avanti e indietro sulle strisce pedonali di via Roma, all’altezza della rotatoria. E’ lo sciopero generale del distretto del travertino per chiedere al Comune di sbloccare le proroghe e le autorizzazioni vista la prima condanna inflitta a una azienda, tra le più grandi, in un blitz di ferragosto nonostante il tavolo regionale e le verifiche ancora in corso. La valanga sul piano occupazionale e economico è dietro l’angolo, nelle stesse condizioni ci sono più di dieci imprese, ma con il comparto in ginocchio rischiano 2mila lavoratori tra diretto e indotto.
Esasperazione e tutti sotto il Palazzo. L’appuntamento è alle sette alla Str, i sindacati incontrano i dipendenti per l’assemblea. Il clima appare subito acceso, nessuno vuole sentire parlare di piattaforme o azioni a lungo termine, i lavoratori decidono di andare in Comune. Subito. Ci sono 47 licenziamenti già avviati, “noi vogliamo sapere cosa dobbiamo fare domani mattina”, la rabbia monta mentre raggiungono le finestre della politica. Si spostano nella piazza razionalista, la mattina rovente di calore, il pomeriggio bagnata dalla pioggia, palcoscenico della prima forte protesta contro l’amministrazione cinque stelle, messa all’angolo dai lavoratori. Alcuni gruppi arrivano a piedi da Villalba, chiaramente scortati, sono quasi le dieci, ci sono consiglieri e esponenti delle opposizioni, il Pd, Forza Italia, i civici, poi arriverà anche la Lega. Vengono gli imprenditori del settore in gran numero. “Intanto facciamo una cosa, portiamoci via questa”, suggerisce un operaio sulla trentina toccando la panchina di travertino che abbellisce la piazza, proprio accanto ai portici. L’ironia è amara. Con l’espressione tetra ecco che appare Giuliano Santoboni, il capogruppo dei pentastellati guarda da lontano, cammina vicino al muro evitando la gente, la borsa in spalla, sembra uno spettro. Il lunedì sarà lungo.
La protesta spontanea. Fremono. La sosta in piazza dura un’ora scarsa e poi si muovono. “Dobbiamo far sapere alla gente che sta succedendo”, e imboccano via Leonardo Da Vinci con polizia e carabinieri, mentre la municipale pensa a gestire il tilt della viabilità. Si bloccano a metà della discesa, sulla carreggiata, la discussione con le forze dell’ordine va avanti per un po’ mentre un gruppo si stacca e usando il marciapiede raggiunge via Roma. Direzione rotatoria, lì attraversano sulle strisce in blocco e a ripetizione. E’ mezzogiorno quando tornano tutti al punto di partenza, ammassati davanti la porta d’entrata del Comune. Una prima delegazione, sale da Barbet. Ci sono le consigliere regionali Michela Califano (Pd), la collega di Forza Italia Laura Cartaginese, il senatore del Pd Bruno Astorre, i consiglieri comunali del Pd Emanuele Di Silvio, super attivo sull’emergenza cave, Mario Lomuscio che fa su e giù per informare tutti fino a pomeriggio inoltrato, Paola De Dominicis, la Giovanna Ammaturo della Lega, i civici Mauro De Santis e Bruno Proietti. Assente invece Arianna Cacioni. Tant’è che quando scendono i volti sono scuri, in sintesi il Comune continua a fare muro, “noi applichiamo la legge” è il ritornello ripetuto. “C’è la piena volontà della Regione Lazio a affrontare la situazione – dice Califano dal mini megafono che le passa un operaio – rimettiamo sul tavolo le nostre proposte ma devo osservare perplessità da parte della politica e della dirigenza”.
Insomma, l’aria non è buona. Affatto. Intanto gli imprenditori si sono riuniti davanti l’entrata del teatro chiuso, altro emblema della Guidonia in questa fase impossibile, i sindacati chiamati dal sindaco però non vogliono salire. La piazza chiede infatti a Barbet di scendere e alla fine, accompagnato da Santoboni, mentre orbitano sullo sfondo Claudio Zarro, Caludio Caruso e Alessandro Cocchiarella (uno tra i più intransigenti del fronte anti-cave), il sindaco si butta in mezzo all’arena e sono subito grida. Gli basta pronunciare la frase, “mi sono sempre adoperato per risolvere il problema”. Sfodera un appuntamento con Di Maio e il sottosegretario al ministero del lavoro per “tutelare i lavoratori”, e gli operai rispondono, “non devi chiudere le aziende”, la tensione c’è, i cinque stelle sono bianchi e tirati che di più non si può. E’ una rappresentante della Str a ricordare al sindaco gli eventi precipitati ad agosto, “l’azienda è stata chiusa mentre erano in corso verifiche, questo è eccesso di potere”, e applausi. Il botta e risposta va avanti, Barbet viene puntellato fino all’esternazione, “io non sono un tecnico faccio il sindaco”. A quel punto perso il match in piazza, il primo cittadino però compie la mossa successiva, per trattare, e chiede a una delegazione di lavoratori di salire in stanza, ammessi anche i consiglieri comunali ma non volti delle aziende. A sbarrare la strada pensa Santoboni in persona che smista. Parte così una ennesima riunione e sull’onda della protesta dura più di due ore. I bollettini da chi si affaccia di sotto all’inizio non sono rosei. E’ un braccio di ferro pesante in corso tra sindacati e governo locale, alla fine però qualcosa si muove. Il sindaco alle 16 convoca la dirigente Paola Piseddu, autrice della revoca all’azienda, per verificare possibili vie d’uscita. Barbet si prende quattro ore. Con i vertici in corso, il lunedì della protesta ancora non è chiuso.
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